HomeApprofondimentiGalleria FotograficaGalleria Video Repertorio Multimediale






   Schede Storiche

La Comunità ebraica di Roma alla Liberazione

 

    Per la Comunità ebraica di Roma il giorno della Liberazione della Capitale, il 4 giugno 1944, significò la fine delle persecuzioni e della clandestinità. Tornati liberi, gli ebrei romani si trovarono di fronte a una grande quantità di problemi da superare. Gli ebrei della capitale, quelli stranieri e italiani che avevano cercato rifugio nella città, si trovavano in un estremo stato di disagio spirituale e materiale a causa di anni di discriminazioni, guerra, persecuzioni e deportazioni.

   In una situazione d’estrema povertà bisognava ricostruire le istituzioni comunitarie, riorganizzare le attività ebraiche in tutti i campi e provvedere ai 4.000 ebrei profughi nella città. La maggior parte della popolazione ebraica si dovette attivare per ritornare in possesso della propria casa requisita, del proprio posto di lavoro e nulla si sapeva della sorte dei famigliari deportati. Era diffuso un grave disagio sociale, mancava una guida spirituale nella Comunità dopo la conversione dell’ex-Rabbino Capo Zolli e non c’era un’amministrazione legittima dopo lo scioglimento del Consiglio della Comunità da parte degli Alleati il 7 luglio 1944 e l’insediamento successivo di un commissario straordinario, Silvio Ottolenghi, contestato però dalla Comunità ebraica di Roma.  

 

L’importante ruolo della Brigata Ebraica

   Prezioso fu il contributo dei militari ebrei della Brigata Ebraica formatasi nell’allore mandato inglese in Palestina che erano inseriti nel VIII° armata inglese. Ebbero un ruolo di primaria importanza non solo per l’aiuto nel ricostruire le istituzioni, ma anche psicologica. Dopo un lungo periodo di umiliazioni, entrare in contatto con dei militari che portavano le mostrine di quello che sarebbe divenuto il futuro Stato di Israele, generò un moto di orgoglio e di riscatto morale, ai più fece conoscere cosa significasse il Sionismo e la costruzione di una patria ebraica. Le unità di soldati che raggiunsero la città subito dopo la Liberazione avevano l’incarico di dare sostegno alle istituzioni ebraiche nascenti con il coordinamento del Rabbino militare Efraim Urbach.

   Il loro primo impegno fu la riapertura della scuola ebraica “Vittorio Polacco”. Ciò avvenne con  l’aiuto di alcuni allievi del Collegio Rabbinico già nell’estate del 1944. L’apertura della scuola doveva servire principalmente alla formazione di una coscienza ebraica e sionista presso i giovani ebrei romani. Sempre con l’aiuto della Brigata Ebraica e con la guida del soldato Zwy Sternilicht fu inaugurato il 30 agosto del 1944 il Centro Giovanile Ebraico (CGE) nell’oratorio sito in via Balbo, dove si svolgevano non solo corsi di cultura e lingua ebraica ma anche confronti su temi politici e di attualità.

   Con l’avanzare del fronte verso il nord Italia i militari della Brigata lasciarono in gran parte la città di Roma. Fu quindi necessario formare persone che potessero continuare il lavoro fin lì svolto e per questo furono organizzati corsi di formazione i cui partecipanti furono soprattutto allievi del Collegio Rabbinico, giovani insegnanti della scuola Vittorio Polacco e membri del Centro Giovanile.

 

La Comunità di Roma alla ricerca di un riordinamento

   Dopo la razzia del 16 ottobre del 1943 e i rastrellamenti successivi, poco si sapeva della sorte dei deportati. La situazione cambiò con il ritorno dei reduci dai campi di sterminio. Enorme fu il dolore che provocò la perdita di così tante vite. Quella data fu la più infausta della millenaria storia dell’ebraismo romano e da allora fu sempre ricordata con sentita partecipazione.

   Dopo lo scioglimento del Consiglio fu necessario, come primo passo verso la ristrutturazione della Comunità, una nuova amministrazione regolare per porre fine al periodo commissariale. A marzo del 1945 ebbero luogo le elezioni per il rinnovo del Consiglio, nove mesi dopo la Liberazione. Il primo presidente fu Vitale Milano, già consigliere e vicepresidente della Comunità fin dal 1929. Nella seduta di insediamento il Consiglio approvò una dichiarazione nella quale fu chiaro l’atteggiamento da seguire negli anni a venire. In primo luogo si commemoravano le vittime della strage delle Fosse Ardeatine e i sei milioni di vittime della Shoah. Si sottolineò l’importanza del riscatto morale dell’Italia, il ripristino dei principi di uguaglianza e di democrazia e l’unità degli ideali tra l’esercito italiano, le truppe alleate e la Brigata Ebraica e la fine storica della dittatura fascista.

   Già durante il periodo commissariale, nel febbraio del 1945, avvenne una prima celebrazione al Tempio Maggiore per le vittime della Fosse Ardeatine. Evento che divenne successivamente parte integrante della vita comunitaria, nel marzo di ogni anno sul luogo del massacro, insieme alla popolazione non ebraica: ebrei e non uniti da un comune destino vittime dell’oppressore tedesco.

   La ricerca dei deportati rimaneva un compito difficilissimo anche dopo la fine della guerra. Per questa ricerca – già avviata dalla Delasem – si era costituito nel settembre 1944, il Comitato Ricerche Deportati Ebrei (CRDE). La forte pressione dei famigliari dei deportati provocava grandi conflitti anche con i dirigenti della Comunità. 

   A giugno del 1951 si svolsero le elezioni per il rinnovo generale del Consiglio della Comunità: dopo un’aspra battaglia elettorale fu eletto Presidente della Comunità: Anselmo Colombo, anche lui consigliere fin dal 1930. Il presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, Raffaele Cantoni, figura di primo piano dell’ebraismo Italiano, rassegnò le dimissioni, aveva appoggiato la lista sconfitta e non si sentì più in sintonia con la nuova gestione comunitaria. I successori di Anselmo Colombo come Odo Cagli e Fausto Pitigliani cercarono nonostante le difficoltà economiche  di rafforzare le attività scolastiche, considerate di primaria importanza.

 

Attività economiche della comunità: aiuti esterni e sforzi interni

I problemi economici furono così enormi nei primi anni del dopoguerra che per superarli fu necessario un aiuto esterno. L’American Joint Distribution Commitee (Joint) si impegnò subito dopo la Liberazione per rendere possibile la riapertura delle istituzioni ebraiche romane.

Già nell’agosto del 1944 ebbe luogo una riunione con i dirigenti romani nella quale si formò un comitato per organizzare la ripresa delle attività economiche ebraiche e soprattutto per coordinare la raccolta e la distribuzione dei fondi. Nel settembre del 1944 si fondò il Comitato Pro Comunità e Istituzioni Israelitiche di Roma, chiamato più tardi Comitato per la Ricostruzione delle Istituzioni Ebraiche di Roma (Crier).

   Fin dall’inizio la politica del Joint  aveva l’obiettivo di rafforzare l’autonomia dell’ebraismo romano e perciò si offrì di raddoppiare le somme che erano state raccolte con un primo appello alla popolazione ebraica nel settembre 1944. Oltre a questo avvenivano anche pagamenti diretti, spesso legati a scopi specifici. Nel corso del biennio 1946-1948 il Joint cessò gradualmente il suo intervento.

   Soltanto nel 1955 la Comunità ebraica romana ebbe di nuovo l’occasione di attingere a fondi  provenienti dall’estero, questa volta dalla Claims Conference.

   Fondamentalmente il sostentamento della Comunità era basato sui contributi degli iscritti che versavano un tributo in base al proprio reddito, sulle offerte e sulle donazioni per occasioni specifiche e sui contributi da parte dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane. Ma tenuto conto del basso reddito della maggior parte degli ebrei romani queste possibilità erano assai limitate e questa situazione fu un problema  persistente per la Comunità. Nonostante ciò la Comunità partecipava costantemente alle raccolte per preparare l’aliyà (l’emigrazione verso Israele) e per la costruzione del nuovo Stato d’Israele. La maggior parte del bilancio della Comunità era, però, assorbito dalla gestione della scuola.

 

Le attività giovanili: la costruzione di una coscienza sionista per le future generazioni

   Dopo il grande contributo iniziale dato dai soldati della Brigate Ebraica, le attività giovanili rimanevano di vitale importanza per la Comunità. Sviluppatosi nell’ambito dei Circoli Giovanili si costituirono già nel corso del 1944 gli Zofim, gli scout ebraici, mentre nel novembre del 1945 furono creati, a livello nazionale, i Giovani Esploratori Ebrei d’Italia (GEEDI) come sezione giovanile delle hechalutz. Gli Zofim svolgevano un lavoro di formazione culturale e politico fortemente collegato agli ideali sionisti. Nonostante le grandi differenze tra i vari ceti sociali, di queste attività rieducative ne approfittarono soprattutto i ceti del livello socio economico più disagiato.

   Nei dintorni di Roma c’erano varie hachsharot, scuole agricole, nelle quali si preparavano i giovani all’aliyà. Esistevano inoltre dei corsi di formazione professionale per i giovani della Organizzazione e Rieducazione Tecnica (ORT), queste attività furono frequentate soprattutto da profughi di varia provenienza ma scarsa fu la partecipazione tra i giovani ebrei romani.

   Gli ideali trasmessi dai soldati della Brigata Ebraica, uguaglianza e fratellanza, fecero da traino per i movimenti giovanili nascenti nei vari settori, anche nello sport. Già nel 1950 fu creata l’Associazione Sportiva “Stella Azzurra” (ASSA), una squadra di calcio che come stemma aveva la stella di David. Nel 1954 fu istituita la sezione romana della Federazione Italiana Maccabi. Ma si avvertiva la mancanza di una leadership in grado di seguire le attività giovanili in maniera costante. Quando nel dicembre del 1955 ebbe luogo nella capitale l’ottavo congresso della Federazione Giovanile Ebraica (FGEI) si constatò che all’interno delle varie strutture mancava l’ambiente di quello che rappresentava la maggior parte dei giovani ebrei romani: i ceti popolari.

   Si dovette ammettere che il motivo erano le attività rivolte specialmente ai giovani borghesi colti. Dopo questa analisi furono messe in atto delle iniziative che potessero coinvolgere tutti gli strati socio-economici, e dal 1960 si iniziarono a raccoglierne i frutti.

 

Le attività religiose. Il nuovo orientamento dopo la Shoah

    Alla fine della guerra un quarto del rabbinato italiano era perito nella Shoah.

   Nel dicembre del 1945 la Comunità ebraica di Roma elesse come Rabbino Capo, David Prato, che era già stato Rabbino Capo della Comunità durante la dittatura fascista che lui avversava e per questo motivo fu fatto allontanare. Fu richiamato a coprire quel ruolo per il suo grande carisma e per l’enorme rispetto che tutti i componenti della Comunità nutrivano nei suoi confronti. Il suo primo atto ufficiale fu quello di commemorare le vittime delle Fosse Ardeatine e portare conforto ai famigliari dei deportati nei campi di sterminio, dichiarando tutte le vittime della Shoah martiri per la ricostruzione di Israele. Nel 1947 recitò al Tempio Maggiore un Kaddish con i sopravvissuti dei campi di sterminio. Nel maggio del 1948 quando fu proclamato lo Stato di Israele, guidò gli ebrei di Roma a manifestare sotto l’arco di Tito. Erano venti secoli che gli ebrei della capitale non facevano quel gesto in quanto rappresentava la perdita della loro indipendenza nazionale. Infatti lì era raffigurata la sconfitta subita ad opera dell’imperatore Tito e gli ebrei in schiavitù costretti a portare il candelabro a sette braccia, simbolo del Tempio di Gerusalemme.

Subito dopo la Liberazione la presenza dei fedeli alle funzioni religiose era notevole ma verso la fine degli anni ‘40 cominciò ad affievolirsi anche se tutte le Sinagoghe tornarono alla piena attività: il Tempio Maggiore, il Tempio Spagnolo, l’Oratorio di Via Balbo, l’Oratorio della Casa di Riposo, quello dell’Orfanotrofio, quello in Via Principe Amedeo e in Via Palestra col rito askenazita e infine ad Ostia.

   Un ruolo importante nella formazione di nuovi Rabbini l’ebbe il Collegio Rabbinico Nazionale che riprese la sua attività nel dicembre del 1945 in occasione della festa di Chanukkà, sotto la presidenza del Rav David Prato. Fondamentali furono gli aiuti del Joint e del British Fund che inviarono libri di testo e mezzi di sostentamento a cui collaborarono anche le altre comunità italiane. Già nel 1947 il Collegio Rabbinico poteva contare tra corsi di base e superiore di ben 33 allievi. Nel 1950 presso la cittadina tedesca di Offenbach furono rinvenuti i libri della Biblioteca del Collegio trafugati dai tedeschi nel 1943 che tornarono ai legittimi proprietari.

   Con la scomparsa di Rav Prato, dal 1952 al 1955, la direzione passò ad un altro eminente studioso di ebraismo Dante Lattes e in seguito al Rav Elio Toaff, divenuto Rabbino Capo di Roma nel Dicembre del 1951. Rav Toaff ha coperto questa carica per oltre 50 anni, lasciando un’impronta indelebile non solo tra gli ebrei romani ma in tutti gli strati della società civile. Con lui la Comunità si è aperta alla città, alle istituzioni, al mondo della politica. Ha avuto il merito di guidare ed essere uno dei maggiori punti di riferimento dell’ebraismo romano nei difficili anni della ricostruzione. Nell’aprile del 1986 ricevette nel Tempio Maggiore di Roma il Papa Giovanni Paolo II, il primo Pontefice a varcare la soglia di una Sinagoga dopo 20 secoli, questo ha rappresentato una svolta storica nei rapporti ebraico-cristiani.

 

Si può chiudere il Tempio ma non la scuola, il fondamento della Comunità

   Per entrambi i Rabbini Capo, David Prato e Elio Toaff, la formazione scolastica era fondamentale

per mantenere viva la cultura ebraica e costituiva un mezzo per sviluppare e comprendere appieno i valori profondi dell’ebraismo. La scuola Vittorio Polacco già nel 1945 era pienamente funzionante con 580 allievi divisi in 15 classi e con un refettorio scolastico.

   Un problema da superare era la mancanza di un adeguato numero di insegnanti ebrei. Perciò si organizzarono con l’aiuto del Joint corsi di qualificazioni per insegnati.

   Inoltre mancava una scuola media, che era invece presente prima della guerra. Ma anche la scuola elementare iniziò ad essere inadeguata sia per il numero crescente di iscritti sia perché l’edificio mostrava i segni del tempo. Nel 1953 si riuscì ad inaugurare la scuola media e nella primavera iniziarono i lavori per ristrutturare la scuola Vittorio Polacco, non senza gravi sacrifici economici.

   Furono riorganizzati anche la Casa dei Bambini, l’Orfanotrofio, l’Asilo e un nido per i più piccoli.  Per completare il programma educativo iniziarono anche le attività delle colonie estive.

   Spesso queste iniziative furono rese possibili grazie all’aiuto del Joint e di altre istituzioni di assistenza.

 

L’Ospedale Israelitico e la Casa di Riposo

   L’Ospedale Israelitico e il Ricovero Israeliti Poveri Invalidi  si trovavano fin dal 1882 (l’Ospedale) e dal 1887 (il Ricovero) all’Isola Tiberina  in uno spazio ricavato da un antico monastero.

   Nel 1937 la Casa di Riposo fu dotata grazie all’iniziativa del Rabbino David Prato di un Oratorio per permettere agli anziani di non doversi recare per le loro preghiere al Tempio Maggiore sul Lungotevere. Questa piccola Sinagoga fu l’unica che rimase in funzione durante i dieci mesi dell’occupazione tedesca. Infatti con grande coraggio il Rabbino Davide Panzieri ne garantì le funzioni religiose, una fiammella che rimase accesa fino alla Liberazione.

   Già il 5 giugno del 1944 si svolse in questo oratorio una preghiera comune che raccolse gli ebrei romani e gli alleati. Nel 1946 tutti gli spazi che comprendevano Ospedale e Ricovero tornarono in possesso della Comunità Ebraica di Roma. Infatti per evitare saccheggi da parte dei tedeschi nel 1943, quei luoghi erano stati presi in consegna da un Orfanotrofio gestito da suore con l’accordo della riconsegna tre mesi dopo l’avvenuta Liberazione. La data slittò però fino al gennaio del 1946. Nel 1987 l’Oratorio fu completamente ristrutturato e nel 1970 l’Ospedale e la Casa di Riposo furono trasferite in un luogo più adatto alle nuove esigenze, basti pensare che nei primi decenni del ‘900 c’erano soltanto 25 posti letto, con la nuova sistemazione si arrivò a 120.

 

 La stampa ebraica: informazione e identità ebraica

    Dopo i lunghi anni delle leggi razziali fasciste e dell’occupazione tedesca, già nel luglio del 1944 uscì il primo giornale che segnò il ritorno alla libertà: il Bollettino Ebraico d’Informazione. Subito dopo vide la luce il settimanale Israel, nel dicembre del 1944. Israel offriva anche ampie informazioni sulle altre comunità Italiane. Per coinvolgere e stimolare anche l’interesse della base popolare ebraica, il Rabbino David Prato propose già nel 1947 l’idea di un Bollettino della Comunità. Nel 1949 troviamo nel settimanale Israel un inserto dedicato all’ebraismo romano. Ma fu soltanto nel 1952 che gli ebrei della Capitale ebbero un loro organo d’informazione La Voce della Comunità.

   Nel 1948 nacque la prima rivista culturale, La Rassegna Mensile Israel.

   Nel 1967 dopo la Guerra dei Sei Giorni fu avvertita la necessità di avere un giornale più in linea con i tempi in rapida evoluzione, con pagine di politica, costume, cultura e cronaca locale. Nacque nel novembre del 1967 il mensile Shalom il cui primo direttore fu la giornalista e saggista Lia Levi Calderoni.

   Il 4 Giugno del 1944, giorno della Liberazione di Roma, trovò gli ebrei della capitale moralmente feriti. Decimati dalle deportazioni ad Auschwitz e trucidati alle Fosse Ardeatine. Una ferita che continua a pesare ancora oggi. Nonostante tutto, gli ebrei romani, come quelli europei, ebbero la forza morale di ricominciare a vivere, guidati da uomini e donne animati da grandi capacità organizzative indubbie qualità morali e forti ideali, si ebbe una crescita che toccò tutti gli aspetti della vita comunitaria, non fu né facile né breve, ci volle una intera generazione per compiere l’opera di ricostruzione. Grazie a loro oggi a Roma esiste un ebraismo forte  vitale e fiero della propia identità, capace di sopravvivere alle tempeste della Storia, e possiamo ben dire che “i lavori sono ancora in corso”. Un lascito ed esempio per le nuove generazioni

 

 

                                                                                                            Hahle Badrnejad-Hahn

 

 

 

Hahle Badrnejad-Hahn

Ha studiato in Hannover, Germania e Cape Town, Africa del Sud. Laureata in Storia Contemporanea, Scienze Religiose e European Studies, svolge attualmente un dottorato di ricerca in Storia Contemporaneo all‘Università di Monaco. Provenendo da studi di storia tedesca si è interessata fin dall’inizio dei suoi studi universitari alla storia della Shoah e alle sue ripercussioni. Con la prima laurea raggiunta a Cape Town analizzò la situazione degli ebrei profughi dalla Germania negli anni ‘30 che cercarono rifugio in Sud Africa, mentre per la tesi di master effettuò un’analisi  della stampa, analizzando come i giornali italiani riportarono gli eventi antisemiti in Germania durante gli anni ‘30,  prima e dopo l’introduzione delle leggi razziali italiane.

 



CCE
 
Copyrigth © 2012 MemoriEbraiche
contatti: centrocultura@romaebraica.it  |  Seguici anche su:  Seguici su G+  Seguici su twitter  Seguici su YouTube