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   Approfondimenti

Gianfranco Tedeschi e il Circolo Weizmann nella vita comunitaria degli anni '60

Natan Orvieto

da: Bice Migliau (a cura di), Il Circolo Weizmann. Identità e cultura nella vita della Comunità Ebraica di Roma degli anni ’60-’70, Roma, 2009

 

 

                                                                                                                                            

     Non è cosa facile stringere in un rapido excursus l’importante opera svolta da Gianfranco Tedeschi in mezzo a noi, per noi, e che ha dato una spinta determinante alla crescita della nostra Comunità. Mi auguro che queste righe ne diano la necessaria sintesi.

     Conobbi Gianfranco agli inizi degli anni '60; facevo parte del gruppo dirigente del primo Kadimah, quello di Via del Gesù 89, il nostro circolo giovanile appena fondato, ed egli, già docente, veniva dapprima come ascoltatore nelle attività culturali e per conferenze su temi di  rilievo. Ma ben presto fu da noi mobilitato come oratore di particolare spicco. Ricordo che con le sue conferenze faceva entrare noi giovani nel mondo della psicoanalisi, ai più allora sconosciuto, catturandoci con il suo linguaggio senza fronzoli o giri di parole, chiaro, sistematico, diretto, essenziale e, nel contempo, direi affascinante. Sicché eravamo sempre numerosi lì, tutti muti ad ascoltarlo; nelle sue conferenze ricorrevano gli elementi di relazione con il profondo della sensibilità ebraica.

      Nello stesso periodo Gianfranco Tedeschi avviò incontri periodici con alcuni amici suoi coetanei per affrontare temi di pensiero ebraico e proiettati nella realtà contemporanea. Di questo gruppetto di ebrei romani che si incontravano a casa di Tedeschi, entrò a far parte un personaggio, ebreo israeliano, che fu attivo presso la Comunità di Roma dall’autunno del '62 e negli anni che seguirono. Mi riferisco al Prof. Hillel Artzieli z.l. (Zichronò li-vrachà, che il suo ricordo sia di benedizione), persona di grande esperienza internazionale. Era stato attivo, poco più che trentenne, a Ginevra e nella Francia occupata dai nazisti, per aiutare nella fuga ebrei francesi e del centro Europa durante la seconda guerra mondiale. Poi nei Paesi dell’Est Europa al momento della fondazione di Israele. Subito dopo il 1948 fu inviato della Agenzia Ebraica (Sochnuth) in Turchia, Sud America, Nord America e in vari paesi dell’Europa Occidentale. Leggeva e comunicava correntemente in nove lingue.

In Italia arrivò come inviato, shaliach, per l’insegnamento della lingua ebraica; non si limitò a svolgere questo incarico in scuole, anche statali, in gruppi di studio, nel circolo giovanile ebraico. Personaggio di grande umanità e cultura poliedrica, dal temperamento non facile ma, vero “cane da tartufo”, fiutava i personaggi della nostra comunità (ed anche fuori da essa) di maggior rilievo culturale e ideologico, creava contatti, collaborava a realizzare progetti comuni.  E nel contempo non mancava di avvicinare e dialogare anche con le persone più semplici, ma sensibili ed intuitive.

     Nell’ambito dei suoi contatti venne a conoscere Gianfranco Tedeschi il quale ne colse le doti e le prerogative; infatti Gianfranco sapeva cogliere, inserire ed utilizzare adeguatamente, per il bene della Comunità, personaggi di valore anche esterni ad essa: divennero ben presto molto amici, e profonda amicizia si strinse anche con il prof. Ferruccio Sonnino, altra figura di spicco nella compagine degli amici di Gianfranco. Insieme a loro ricordo l’arch. Giuseppe Castelnuovo, il dott. Lucio della Seta, il dott. Aldo Sonnino z.l. .

     Fu questo il nucleo pilota da cui nacque più avanti il Circolo Weizmann, un vero e proprio cenacolo culturale, che impresse una svolta determinante alla vita comunitaria. Il Circolo Weizmann come tale nacque nel 1963. Prima creazione di Tedeschi in ambito comunitario, svolse una grande azione di sviluppo e diffusione della cultura ebraica, ed anche un’azione di collegamento con vari esponenti del mondo culturale cittadino, anche non ebraico.

     Il Circolo Weizmann, guidato da Gianfranco Tedeschi, poneva tra i suoi obiettivi fondamentali quello di stimolare l’autocoscienza dell’ebreo. In una prolusione del 1964 Tedeschi diceva fra l’altro:«Lo sviluppo della personalità umana passa attraverso alcune fasi tipiche, …. la vita del popolo ebraico è l’incarnazione di alcune di queste fasi paradigmatiche dello sviluppo dell’Umanità. In quanto rappresenta e vive (nella sua esistenza personale) il modello impersonale di quello sviluppo, esso può essere considerato come un testimone vivente di alcune grandi verità…..» E più avanti:«…..Qual è il nostro scopo? Risvegliare nell’ebreo questa tendenza alla fisionomizzazione, sviluppando una maggiore presa di coscienza di se stesso».

Alcuni temi di grande interesse vennero portati al pubblico da oratori di grande spicco: ebrei, cattolici, protestanti, laici e religiosi: le sedi di via Brofferio prima, via Gramsci più tardi, straripavano di ascoltatori.

     Ormai personaggio amato e stimato da larga parte dell’ebraismo romano, Gianfranco Tedeschi avvia la sua opera all’interno della direzione comunitaria ed entra nel Consiglio, nella Giunta, con la presidenza di Fausto Pitigliani. Prende così avvio la sua azione innovativa della gestione comunitaria, azione ulteriormente sviluppatasi durante la sua presidenza negli anni 1965 – 1970. Dopo precedenti gestioni improntate a sane conduzioni amministrative e patrimoniali, la gestione di Tedeschi va oltre: è una nuova maniera di concepire la politica comunitaria, mirando specificatamente alla crescita sociale e culturale. In sintesi quali sono le linee di questa vera e propria strategia? Ne individuo fondamentalmente tre.

     1°: la ricerca di coinvolgimento della base comunitaria: già durante la sua vicepresidenza prende avvio il progetto di costituzione della Commissione Consultiva, istituzionalizzata più avanti e divenuta Consulta nel marzo 1966, ma avviata a cavallo del 1964 e 1965. Ciò avviene non senza qualche contrasto con alcuni dirigenti, ma in piena collaborazione con altro grande personaggio della nostra Comunità, il Prof. Bruno Zevi z.l.. La commissione in quel tempo è una vera e propria fucina di idee ed anche, perché no, di critiche e di suggerimenti al Consiglio della Comunità.

     2°: la valorizzazione delle attività giovanili. Già in occasione del dibattito sulla costituzione di una Commissione Consultiva per la Comunità (dibattito promosso proprio al Kadimah nel maggio 1964) la linea politica di Tedeschi era stata subito favorevole, contrariamente a quella del presidente Pitigliani. E così, come dirigente del Circolo giovanile Kadimah, ricordo i miei frequenti incontri con Gianfranco presso il suo studio per mettere a fuoco nuove iniziative ed attività. Più avanti, durante la sua presidenza (iniziata nel giugno 1965) egli chiede espressamente a noi giovani di indicare alcuni elementi, secondo noi rappresentativi, per inserirli nella leadership comunitaria. Avvia la Commissione giovani, si realizzano per la prima volta collaborazioni professionali che affiancano le organizzazioni giovanili.

     3°: lo sviluppo dei servizi sociali. Crea il centro psico-pedagogico, importantissimo strumento d’azione all’interno e intorno alla scuola ebraica. Da questo più tardi nascerà il Centro di consulenza familiare. Queste le linee strategiche ed operative.

     Nel 1967 la presidenza Tedeschi si trova ad affrontare una delle fasi più significative della nostra storia comunitaria. Il periodo intorno alla Guerra dei sei giorni, giugno 1967, è una e vera e propria mobilitazione sia sul piano operativo, che su quello politico, in stretta collaborazione per l’aspetto politico ancora una volta con Bruno Zevi. Sotto la minaccia del presidente egiziano  Nasser e degli altri Paesi Arabi circostanti, la sopravvivenza stessa dello Stato di Israele è fortemente a rischio. Si organizzano la raccolta di sangue e di medicinali. E la sera del 28 maggio 1967 chi era presente non potrà mai dimenticare, sul palco allestito al Portico d’Ottavia, Gianfranco Tedeschi e Bruno Zevi, i quali guidano il succedersi degli oratori, esponenti politici e del mondo culturale, che durante cinque ore, fino alle due di notte, manifestano con la loro parola la solidarietà per Israele in pericolo.

     Immediatamente dopo la Guerra dei sei giorni si propone il grande evento dell’arrivo degli ebrei di Libia. Bisognava dare aiuto e sistemazione ad alcune migliaia di libici espulsi, trovatisi improvvisamente senza casa, senza lavoro, senza risorse di alcun genere. La nostra comunità era all’epoca di circa tredici – quattordici mila iscritti. Bisognava mobilitarsi per trovare collocamento e abitazioni per chi aveva perso ogni bene. Tra le migliaia di libici c’erano tanti giovani a cui dare un punto di incontro nella nostra metropoli. Da un paio d’anni avevo lasciato la presidenza del Circolo giovanile. Tedeschi mi telefonò e telefonò a Renzo Gattegna (insieme avevamo diretto le attività giovanili, prima di entrare nelle nostre professioni). Ci convocò nel suo studio; ci parlò dell’emergenza e disse che serviva l’esperienza di chi, più anziano di cinque – sei anni rispetto ai dirigenti giovanili in funzione, poteva meglio affrontare le problematiche organizzative e fare un buon lavoro di inserimento con giovani provenienti da un mondo diverso da quello romano. Ogni sera, escluso naturalmente il venerdì, alcune centinaia di giovani si riunivano in via Balbo per attività sociali, ricreative e di studio. Si elesse un direttivo in cui entravano rappresentanti dei giovani libici. Ricordo la splendida collaborazione con Isacco Baranes, Isacco Meghnagi, ormai da anni in Israele, David Zard, già allora dotato di grande estro creativo ed organizzativo, con il quale si mobilitavano vasti strati della gioventù ebraica. E ricordo tanti altri giovani, ebrei romani e libici, pronti a collaborare.

     Tedeschi appoggiava e stimolava continuamente il nostro lavoro con i giovani e, proprio per ottimizzarlo, ci permise di ristrutturare i locali di via Balbo, l’ex scuola media, che divenne un moderno e attrezzato centro giovanile tuttora funzionante. Tutti insieme avviammo un progetto, organizzammo la raccolta volontaristica di fondi e l’esecuzione dei lavori. L’inaugurazione avvenne nel maggio 1969. Mi sono soffermato su questi particolari pratici ed esecutivi perché trovo importante evidenziare un elemento fondamentale della visione di Gianfranco Tedeschi: stimolare l’elemento creativo in tutte le componenti comunitarie. E così aiutare i membri della comunità a realizzarsi attraverso l’opera, attraverso l’azione.

     Gianfranco Tedeschi ebbe una visione molto allargata della vita comunitaria, visione anche internazionalistica. (Aveva anche tenuto la presidenza della Federazione sionistica). I rapporti avviati nel suo periodo di direzione comunitaria hanno dato frutti anche in epoca successiva. E c’è un episodio particolare che merita di essere ricordato. Gianfranco fu il primo esponente comunitario, e credo sia rimasto l’unico, a incontrare in un colloquio personale il grande artefice dello Stato di Israele, David Ben Gurion. La Guerra dei sei giorni era finita da circa un anno, tutti ci si augurava sarebbe stata l’ultima e sarebbe seguita la pace con i vicini arabi; ma Ben Gurion disse a Gianfranco: «purtroppo ci saranno ancora guerre, fino a che gli ebrei in Israele non saranno sei milioni». Oggi tutti nutriamo la speranza che il momento di quella pace sia vicino, ancora purtroppo ostacolato da interessi e da pressioni internazionali negative.

     Dopo la fine della presidenza Tedeschi nel 1970, i contatti con Gianfranco diradarono, come è ovvio, ma la sua presenza in dibattiti e conferenze di tema ebraico non mancò mai. Il movimento di idee e di iniziative sviluppatosi durante la sua presidenza, fece sì che alcuni dirigenti comunitari, in contatto con istituzioni ebraiche internazionali, sentissero l’esigenza di creare strutture capaci di rispondere ad esigenze specifiche, culturali e sociali. Una commissione allargata di dirigenti comunitari creò nel 1973 il Centro di Cultura Ebraica, che iniziò le attività nel luglio 1974. L’intento fu quello di costituire una struttura impegnata sia nel senso della documentazione,  sia nel senso della promozione culturale in scuole, circoli ed altre istituzioni. (Merita ricordare fra l’altro gli incontri al Portico d’Ottavia le prime “feste in Piazza“ tra il 1977 e il 1980, tre edizioni, importanti momenti di diffusione culturale e di aggregazione fra tutte le componenti comunitarie e con tutta la cittadinanza romana. All’epoca non esisteva l’“estate romana”) .

     Numerosi furono gli interventi di Tedeschi nei programmi del Centro. Ricordo, fra gli altri, quello per approfondire alcuni aspetti dell’opera di Maimonide. Oltre che grande Maestro ed interprete dei testi ebraici, insigne medico nel suo tempo, Tedeschi ce lo illustrò anche come esperto di medicina psicosomatica  direi, analista ante litteram .

     Ricordo Gianfranco, oltre che per la sua spinta creativa, anche per la sua sensibilità umana, per la sua disponibilità nell’approccio con l’interlocutore, di cui ascoltava attentamente le domande e il pensiero. E negli ultimi anni, mi piace ricordare l’incontro del maggio 1996 a Milano Marittima per il raduno della gioventù ebraica italiana, l’UGEI. Mio figlio ne era segretario generale e, ben sapendo della mia conoscenza con lui, mi disse di volerlo contattare e andò ad incontrarlo nel suo studio di viale Bruno Buozzi. Gianfranco ne fu felice, me lo disse poi a Milano Marittima, dove si trattenne un paio di giorni, e fu entusiasta di rituffarsi nell’ambiante giovanile. A dire il vero, anche in quello non giovanile, perché in tanti andammo ad ascoltarlo. Il tema della conferenza era “Che cosa significa essere ebreo, considerazioni alla luce della psicologia analitica”. Ancora una volta eravamo affascinati ad ascoltarlo per quella ricchezza di contenuti e per il bellissimo modo di porgere le tematiche. Sono contento che la nuova generazione di giovani ebrei lo abbia potuto avvicinare. Egli ha segnato la vita comunitaria a cavallo di tre generazioni.

     Ci ha lasciato un grande vuoto ma anche una grande pienezza, perché ha impresso una svolta nella nostra vita comunitaria e nuove linee programmatiche lungo le quali la comunità di Roma ha camminato, si è sviluppata e tuttora continua a procedere.

     Il suo ricordo sia di benedizione per i suoi cari, per tutti noi che lo abbiamo conosciuto ed avuto amico, ed anche per tutti quelli che verranno. Penso che, seguendo il suo insegnamento, si debbano imprimere nuove spinte di crescita culturale, intesa in senso lato: ricerca di obbiettivi, di nuovi metodi di avvicinamento del pubblico, modi di interrelazionarsi fra individui e fra gruppi. Tutto ciò deve investire i Consigli della Comunità, la scuola con l’opera di docenti e Maestri, il Centro di cultura ebraica, le Commissioni.

 



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