LA CUCINA EBRAICA
ROMANA
Bice Migliau
da: Migliau Bice e
Procaccia Micaela, Lazio. Itinerari ebraici. I luoghi, la
storia, l’arte, Marsilio, Venezia, 1997
La cucina ebraica tradizionale è,
come quella romana, essenzialmente povera, basata su ingredienti
semplici che compensano, con la creatività e l’arte di
arrangiarsi, la parsimonia e la difficoltà di approvvigionamento
legata alle difficili condizioni di vita durante i secoli di
reclusione nel ghetto. L’integrazione degli ebrei romani nel
contesto della città si percepisce anche a tavola e a volte è
difficile identificare come tipicamente ebraico un piatto
ugualmente diffuso a Testaccio, a Trastevere o ai Castelli. Del
resto, la tradizione culinaria delle famiglie ebraiche è tuttora
vivace e non sono poche le ricette delle nonne del ghetto
entrate a buon diritto nella gastronomia cittadina. Come accade
nelle altre cucine regionali, le donne ebree hanno saputo
adattare usi, tradizioni e ingredienti locali alle regole
alimentari (kasheruth),
evitando gli animali proibiti e la mescolanza della carne con il
latte e derivati, inoltre ricette o preparazioni particolari
sono spesso collegate con le varie feste ebraiche.
Nella cucina ebraica romana un
ruolo di rilievo è ricoperto dalle verdure, di cui si usano
spesso anche le parti meno nobili, preparate con gusto e
fantasia, talvolta unite ai legumi o al pesce. Sono degni di
menzione fra i fritti vegetali i tradizionali e popolarissimi
carciofi alla giudia,
carciofi romaneschi accuratamente mondati dalle foglie esterne
con un apposito coltellino e fritti in abbondante olio, i
pezzetti, tocchetti
di varie verdure e radici, tra cui le ormai introvabili
pastinache, fritti in
pastella, e i torzelli,
cuori di indivia passati nel sale e pepe e poi nell’olio
bollente. Non sono meno noti la lattuga ripassata con fagioli e
sugo di pomodoro, gli
aliciotti con l’indivia, dove il sapore del pesce si
stempera con quello della verdura con cui cuoce al forno, la
cicoria con la bottarga
(uova di cefalo o tonno pressate ed essiccate) e la
concia di zucchine
fritte e marinate in olio, aceto e basilico, di cui ogni casa
ebraica romana difficilmente è sprovvista.
Dalla tradizione e dalle economie del ghetto deriva il modo di
cucinare e conservare la carne, di cui si utilizzano ove
possibile anche le parti grasse, evitando gli sprechi. Così lo
stracotto cuoceva per ore e veniva serbato in caldo per il
sabato (shabbàt) e le
finestre intorno al Portico d’Ottavia, che godono della giusta
esposizione, erano adorne, d’estate, di
coppiette e,
d’inverno, di carne secca,
tagli particolari di carne messi ad essiccare al sole ricoperti
di sale e pepe, regolarmente inclusi ancora oggi nei menù delle
feste ebraiche insieme ai gustosi salami di bue o d’oca. I
pezzetti di nervo e carne, esclusi da queste preparazioni, sono
utilizzati per un caratteristico primo piatto: la
pasta e ceci e pennarelli,
mentre i tagliolini freddi di pasta all’uovo conditi con olio,
pepe ed erbette si preparano per lo
shabbàt, e a
Rosh ha-shanà
(capodanno ebraico) non mancano i
carcioncini (o
calzoncini), raviolini ripieni di manzo o petto di pollo serviti
in brodo.
Sulla tavola ebraica romana il pesce ha un posto d’onore, dovuto
forse alla vicinanza del mercato che dal Medioevo aveva sede nel
Portico d’Ottavia: caratteristici per le feste sono i pesci in
agrodolce, probabile reminescenza culinaria dell’antica Roma,
come i confettini di mare,
piccole triglie servite in umido con pinoli e
passerine (uva
passa), oltre ai rinomati filetti di baccalà fritti in pastella.
L’apertura agli influssi di vari paesi, epoche e culture si
riscontra soprattutto nei dolci, in cui confluiscono
ingredienti e ricette che vanno dalla Roma imperiale, alla
Spagna sefardita, alla tradizione culinaria del bacino
mediterraneo. Il
bollo, morbido dolce ovale ricco di uvette e canditi e
il pan di Spagna, assai diffuso nella versione non lievitata
per Pèsach
(Pasqua ebraica), sono stati portati a Roma dopo il 1492 da
ebrei catalani e castigliani; la
pizza con
mandorle, uvette, pinoli e canditi e i
biscottini
accompagnano l’antico rito della
Mishmarà (veglia
di preghiera che precede le circoncisioni, maggiorità
religiose e matrimoni). A
Pèsach sono
tipiche le pizzarelle
col miele, frittelle di azzima (mazzà),
uvetta, pinoli e cacao, il cui impasto, amalgamato con uova
e zucchero e cotto al forno, è usato anche come torta, la
tradizionale pizza di
mazzà.
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